sono lì per essere il tempo stesso
stupendo il lato nord dal rigoglio di selva
che invita brezze a svelamenti d’ombra
senz’ordine i pensieri, e sopiti i tormenti
per vecchie strade che tutte lì conducono
a vuotare coppe all’essenza del mirto.
mancanze non si tacciono, più volte sfiorate
ad accenno di luna. luce colta di sorpresa
-di chi la presenza che l’assenza comincia a tracciare?
offre un dolcetto, l’ospite, unico e semplice
alla fanciulla in fiore -perché si ravveda Albertine
le cui risa bruciano nevi lontane-
un sapore che la giovane non ha incontrato
su nessun tavolo, porto da nessun’altra mano
dal nome magico che evoca sogni infantili
ma non pronunciato. solo successive parole
alla leggiadra rivolte -perché non t’ha chiamata,
tua madre, Madèl? s’intona
tale morbido lemma al tuo passo.
la radiosa si leva via uno stivale
e il piede -provocante? sì
ma dolce nel contempo senza lacci
lo bagna nel laghetto, come
la piuma rosea di un cigno.
balzano gli occhi di ognuno sulle acque cangianti
seguono a discorrere, rapiti e taciti
vi affiorano amori perduti
qualcuno ritrovato.
sorride la musa di Vermeer
da una natura morta destata
-chi è costei davvero, dov’era in viaggio?
Rita Stanzione, 30 giugno ‘19